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Il Museo Archeologico

di Antonio Capano

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L’idea progettuale di un museo si è andata concretizzando fin da quando, identificato il sito di Grumentum nel XVII secolo, e dopo i primi rinvenimenti fortuiti a seguito di lavori agricoli, si sono formate le due collezioni locali (Danio e Perrone), oggi in gran parte disperse. In seguito ai primi scavi condotti nell'area urbana (Capitolium) dall'arciprete Carlo Danio, agli inizi del XVIII secolo, a quelli di fine Ottocento dall'ispettore Caputi (inediti gli altri del Lacava e del De Cicco), e infine ai lavori condotti dal Sestieri nel 1951. Ma, soprattutto, grazie all’attività di Dinu Adamesteanu, primo Soprintendente alle Antichi­tà della Basilicata, che a partire dal 1969 ha dato inizio all'esplorazione re­golare dell'area urbana di Grumentum, coadiuvato poi da Liliana Giardino.

Il restauro di vari complessi monumentali che ha permesso, negli anni Ottanta, grazie a contributi regionali (L. 80/87) anche la lettura completa della pianta dell'anfiteatro e di buona parte dell’area del Foro, hanno fornito, insieme alla prima esplorazione scientifica condotta grazie alla collaborazione con la cattedra di Archeologia Romana dell'Università di Roma "La Sapienza" e alla definizione di un progetto per la realizzazione del parco dell'area archeologica di Grumentum (inaugurato nel 2000), il contenuto per un’esposizione da presentare in un apposito edificio museale.

Si è, pertanto, prevista già con Paola Bottini la realizzazio­ne di un corpo centrale (A), articolato su 4 distinti livelli, ove sono nei primi due allogati i locali destinati alla ricezione dei visita­tori e ai servizi collettivi e didattici, i depositi, il labo­ratorio di restauro, lo studio fotografico, nel terzo e nel quarto le aree per uffici e la biblioteca.

Il progetto, elaborato nel 1983 dall'Arch. Renato Proietti in collaborazione con l'Arch. Claudio Suri, iniziato per la sola parte relativa al corpo centrale, nel 1984, è stato completato nel corso del 1988. Nel 1995 è stato predisposto un allestimento provviso­rio, con il quale il percorso museografico inizia, dopo l’ingresso e la biglietteria, presso cui è allogata la sala regia del personale addetto alla vigilanza, nell'ambiente esteso per circa 422 metri quadrati; proseguendo per una scala circolare di connessione con il sottostante livello (originariamente destina­to a sala conferenze ed esposizioni tempo­ranee), occupato da un vano rettangolare attiguo alla scala, da una più am­pia sala espositiva, che impegna 425 metri quadrati di superficie, comprese due salette, di cui una espositiva, l’altra dedicata a laboratori didattici e per piccoli convegni.

Attualmente sono in realizzazione i due corpi di fabbrica esterni che permetteranno l’esposizione dei reperti e dei contesti archeologici scoperti negli ultimi anni.

 

Il Museo. Le collezioni

Nel Museo Archeologico Nazionale dell’alta Val d’Agri, il cui primo catalogo è stato curato nel 1997 da Paola Bottini, il percorso espositivo inizia con la sezione dedicata alla Preistoria: dalla località San Giuliano provengono frammenti di una zanna, molari, ossa d'elephas antiquus, e alcuni denti d'equidi che frequentavano, circa 500.000 anni fa, l'alta Val d'Agri, allora bacino lacustre pleistocenico.

In seguito all’esposizione della mostra documentaria "L’evoluzione geo-paleontologica della Val d’Agri" (2009) si sono aggiunti reperti provenienti da Marsico Nuovo (Brachiopodi: Spiriferida dalla località Pietra Maura, Giurassico, circa 200 milioni d’anni fa), da Moliterno (Scisto silicei del Triassico Inferiore-Giurassico), da Viggiano (Rudiste: lamellibranchi estinti), da San Martino d’Agri (Foraminiferi bentonici eocenici: nummuliti), da San Chirico Raparo (Travertino del Pleistocene con impronte di foglie ), da Aliano (da sabbie: Pettinidi del Pleistocene Inferiore-Medio, circa 700.000 anni fa).

Alla matura età del Bronzo (seconda metà del Il millennio a.C.) si riferiscono i reperti provenienti dai siti stagionali, collegati prevalentemente ai percorsi della transumanza, di Civita di Paterno, e di Murgia Sant'Angelo di Moliterno, con la caratteristica ceramica ad impasto (ciotole carenate con ansa sopraelevata, usate per attingere il latte o per rimescolarlo in più capaci recipienti).

I corredi arcaici della sepoltura femminile della contrada San Donato di Marsiconuovo (VII sec. a.C.), con ornamenti in bronzo (armille e anello a spirale, orecchini in filo) e di quella maschile della contrada Agri dello stesso Comune, documentano nel Museo l’età arcaica, mentre all’età lucana (fine V/IV- inizi III sec. a.C.) si riportano il forno domestico rinvenuto nell’ambito di una fattoria nella località Piani Parete di Montemurro e le sepolture della località Vracalicchio e Fosso Concetta del medesimo comune, ove si sottolinea il ruolo guerriero per le deposizioni maschili (cinturoni, lance) e la sfera domestica per quelle femminili (lebete nuziale), le quali sono arricchite da vasi a figure rosse pertinenti anche alle note officine del "pittore di Roccanova" e del "Pittore di Haken".

Il periodo ellenistico è rappresentato anche dal santuario rurale, scoperto presso la chiesa di San Marco di Grumento e risalente al IV- inizi III sec. a.C., dedicato probabilmente alla dea Mefite o a dee propiziatrici della fecondità (statuette sedute, alcune delle quali reggenti un kalathos colmo di fiori, o un porcellino) o al mondo silvestre e ctonio: Artemide Bendis con pelle ferina).

Nel livello inferiore, dedicato a Grumentum, sono esposti resti di statue marmoree del periodo imperiale, provenienti dal Foro, tra cui la testa velata di Livia Drusilla, vedova dell'imperatore Augusto, il busto loricato di un generale, forse Tiberio, una mano colossale pertinente a una statua di togato, mentre una pisside in avorio con scena dionisiaca a rilievo (II-III sec. d.C.) è momentaneamente depositata presso il Museo di Metaponto, dopo aver partecipato a numerose edizioni della mostra su Dioniso e il vino. Sono attestate la sfera cultuale con il torso di Arpocrate, rinvenuto nei pressi del Tempio di tipo italico (Tempio A), e quella privata, con la fistula in piombo recante il nome della famiglia degli Stasi e dell’artigiano Eperasto e il trapezoforo (sostegno per tavolo) a forma di pantera (dalla Domus dei mosaici, III-IV sec. d.C.).

Pubbliche sono le epigrafi relative all'imperatore Tiberio (I sec. d. C.) e a Settimio Severo (III sec. d. C.) e, tra le ultime rinvenute, quella celebrativa dell’imperatore Claudio e un’altra di tipo privato dedicata a una fanciulla "dolce come il miele", morta a otto anni. Recentemente è stata recuperata da un fabbricato rurale fatiscente in cui era murata, l’importante epigrafe, già pubblicata, relativa alla dedica della moglie di un grammaticus greco presente in città, con probabili funzioni di insegnante o di istitutore presso una famiglia agiata o per più allievi. Accanto a essa un frammento epigrafico ricorda un banchetto pubblico festeggiato in occasione di qualche evento fausto per la città.

Il ricco medagliere, contiene monete di epoca romana repubblicana e imperiale.

Da aggiungere, tra l’altro, un sarcofago di II/III sec. d.C. decorato con festoni, bucrani, kalathoi, e maschere, riutilizzato in epoca tardoantica , recuperato presso la chiesetta di San Laverio; i corredi (metà VII sec. d.C.) della necropoli situata davanti all'ingresso della chiesa di San Marco, e il bassorilievo tardomedievale raffigurante il giovane martire Laverio (312 d.C.), reggente la palma del martirio e il libro della Legge.

Il Museo presenta anche mostre temporanee, inaugurate in occasione di eventi promossi dal Ministero: ad es. quelle dedicate al culto e al pellegrinaggio dall’antichità all’età contemporanea, alle imperatrici romane ed il potere, ai miti antichi collegati all’amore.

 

 


Copyright testo e immagini (ove non inseriti altri riferimenti) di Antonio Capano.